Friday, April 25, 2008

La via cinese ai diritti umani

Il 14 marzo 2004, è stato approvato dalla decima Assemblea del Popolo, il quarto emendamento alla costituzione della RPC, che introduce due notivà interessanti: si eleva lo status della proprietà privata a diritto fondamentale e si proclama il riconoscimento e la tutela dei diritti umani da parte dello Stato .

Più che di una rivoluzione si tratta però, di una una riforma parziale. Infatti la proprietà privata era gia tutelata dalla costituzione, ma come diritto semplice, d'ora in avanti si arricchisce dell'attributo dell'inviolabilità di fronte allo Stato, e l'esproprio diviene possibile solo previo indennizzo. Nel caso dei diritti umani invece, la riforma riguarda semplicemente la formula “lo Stato riconosce e tutela i diritti umani”, dal momento in cui il testo gia prevedeva la tutela di ben 29 diritti fondamentali. La nuova formula dunque si limita a rendere il sistema di tutela dei diritti umani, un sistema aperto, e non a restringerlo all' elenco dei diritti inseriti.

Tale riforma accellera notevolmente l'armonizzazione del sistema giuridico Cinese al modello dettato dalla dichiarazione universale dei diritti umani del '48. Quest' emendamento è in realtà nient'altro che il piccolo passo di un processo che dura da oltre un secolo. Questo processo di ricezione dei diritti umani inizia grossomodo con la cosiddetta "guerra dell'oppio". In quell' epoca inizia infatti un processo che, sgretolando lentamente le millenarie istituzioni imperiali, permise poco a poco la circolazione, oltre alla suddetta sostanza narcotica, di nuove idee e concetti,tra i quali c'erano anche i diritti umani e la democrazia.



1.1 L' etica Confuciana: un terreno poco fertile per l'idea di "diritti umani"
La penetrazione del concetto di "diritti umani" ha trovato non poche difficoltà in Cina, a partire da un diverso modo di intendere la pratica, scienza per noi, giuridica. L'idea stessa di diritto era infatti estranea alla cultura cinese. La legge era il "fa", termine che si riferiva esclusivamente alla natura sanzionatoria della stessa. Infatti, il vasto impero cinese, fino allo sfortunato incontro con le cannoniere inglesi si reggeva non tanto sul diritto positivo, disprezzato dallo stesso Confucio, quanto sul "li", rito o consuetudine.

Se lo dirigi con le leggi e lo domini con le pene, il popolo disubbidirà e non proverà vergogna; se lo dirigi con la virtù e lo domini con i riti, il popolo avrà pudore e si sottometterà alle regole

Il rito, consuetudine, o la via degli antichi era al centro dell'interesse di Confucio, letterato e funzionario statale di poca fortuna all' epoca degli stati combattenti(551-473 a.C.), prima dell'unificazione dell' impero sotto il regno di Qin nel 221 a.C. . Confucio, di pugno suo non scrisse quasi nulla, si limitò ad interpretare gli scritti precedenti, selezionando i più significativi.

Vivendo in un epoca di instabilità politica rivolgeva le sue riflessioni ad un passato lontano, una mitica età dell'oro rappresentata dai primi tempi della dinastia Zhou. Credeva, Confucio, che solo restaurando le antiche istituzioni, osservando le antiche tradizioni, sarebbe tornato lo splendore di un tempo. I riti, erano infatti espressione di una società gerarchizzata, retta sull'obbedienza a tutti i livelli. L' obbedienza ai riti implicava infatti il costante adempimento dei propri doveri rispetto all' autorità del proprio superiore in ogni contesto secondo quanto stabilito dai cosiddetti 5 rapporti:
sovrano – suddito
padre – figlio
fratello maggiore – fratello minore
moglie – marito
amico – amico

L'ultimo nell'elenco (amico-amico) è anche l'unico rapporto paritario, che implica dunque una obbedienza reciproca.

Le opere letterarie che meglio rappresentano la tradizione confuciana sono raccolte in un corpus di testi conosciuti come i 5 classici, ai quali si aggiunsero convenzionalmente altri 4 libri e altri commentari. Questo corpus di testi divenne il nucleo della dottrina di Stato per scelta dell' imperatore Wu di Han nel 141 a.C. Da quell'epoca fino alla nascita della repubblica nel 1911, fatta eccezione per alcune epoche di crisi (es. la dominazione mongola 1279-1368), i funzionari di Stato sarebbero stati selezonati in base alla loro preparazione sui classici confuciani, secondo un sistema di esami diviso in 3 livelli.

I funzionari dell' impero, i cosiddetti "mandarini" (dal portoghese mandar=comandare), erano uomini di lettere inviati a governare le più remote terre del vasto impero cinese, non armati della legge e della spada, ma affezionati ai loro libri scritti su striscette di bambù, almeno fino all'invenzione della carta attorno all'anno 1000.

Essi, presumiamo, che dallo studio dei classici carpissero la virtù degli antichi. Attraverso questa virtù, coadiuvati dalla mole di esempi contenuti nei classici, essi erano in grado di governare la popolazione e amministrare la giustizia. Punivano i crimini e dirimevano le controversie.

Le leggi dell'impero non rappresentavano per loro tanto un metro di giudizio, quanto piuttosto un vincolo poco gradito. Di diritto infatti, i mandarini, non si intendevano affatto, anche se durante i processi erano coadiuvati da esperti che li consigliavano. Il loro compito era infine quello di rendere manifesta la virtù, il corretto modo di agire, e non tanto applicare degli editti spesso complicati e contraddittori.

E' qui, facile notare la differenza tra la concezione cinese e quella romana dell'amministrazione imperiale. I romani hanno esteso a tutto l'impero il domino del diritto, fondando la forza dello Stato sull'efficacia dello strumento legislativo. I cinesi hanno cercato di diffondere un'etica sociale dell' ordine e dell'ubbidienza disseminando dei "saggi" per tutto il territorio. Nel primo caso ci si è affidati alla riproducibilità tecnica dello strumento legislativo, nel secondo alla meno comprovabile saggezza dei funzionari. Nonostante la base più incerta, il secondo è durato di più.

Il concetto di diritto soggettivo, sopra il quale sono ritagliati i diritti umani era dunque estraneo a quella concezione. Infatti sembra che ogni individuo alla nascita fosse titolare non tanto di una ben definita serie di diritti, quanto piuttosto una severa lista di doveri. Ogni bambino si vedeva gia inserito in un sistema di rapporti di ubbidienza. Un bambino obbediva tanto al fratello maggiore, quanto ai genitori, ai nonni e via dicendo. La moglie obbediva al marito, ma alla sua morte si vedeva costretta ad obbedire al figlio maggiore.

Un tale sistema tende a identificare la famiglia, o la stirpe come unici possibili centri di interessi privati. Gli interessi individuali erano sottoposti a quelli del gruppo, familiare o della intera società, poichè era considerata immorale ed egoistica la condotta di chi avesse dato la priorità ai primi a scapito dei secondi.

Questo principio valeva per tutti, non ultimo l'imperatore che si vedeva infatti costretto ad obbedire al cielo: certamente il giudice più severo. Anche lui infatti se avesse perseguito solo i suoi interessi personali sarebbe caduto in rovina, così come teorizzato dalla dottrina menciana del buon governo.

1.2 Mencio: la teoria del buon governo

Se il sovrano non è benevolo, non può evitare di perdere il trono. Se il capo di uno Stato non è benevolo, non può mantenere il potere. Se un grande nobile o un alto funzionario non è benevolo, non può conservare il suo tempio ancestrale. Se uno scolaro o uomo comune non è benevolo, non può conservare i suoi quattro arti.

Mencio (372-289 a.C.), letterato posteriore a Confucio, è considerato il suo più grande seguace e interprete. La sua figura fu esaltata in epoca Song (960-1279) da quella scuola di pensiero che va sotto il nome di neoconfucianesimo, la quale operando una sintesi tra il pensiero confuciano con buddismo e taoismo, rinnovò notevolmente la popolarità della classica ortodossia di Stato. Il razionalismo e l'aridità del pensiero confuciano, infatti in quell' epoca non poteva più andare incontro alle aspettative del popolo cinese ormai evangelizzato dal pensiero buddista.

La teoria del buon governo e il concetto di "grande uomo" (junzi), sembrano infatti di diretta emanazione buddista. Il buon governo consiste nel soddisfare i bisogni del popolo. Tale compito è prerogativa del grande uomo, che è in grado di governare proprio in virtù del suo altruismo, nella mancanza di interessi personali. La sua benevolenza, è la fonte diretta della sua forza. In altri termini, è l'espressione del governo in base al consenso.

Mencio disse, il re di Zhou sta perdendo il trono, poichè perde la sua gente, e perdere la gente significa perdere i loro cuori. C'è un modo per conquistare il regno:-- conquista il popolo, e il regno è preso. C'è un modo per conquistare il popolo:-- conquista i loro cuori, e il popolo è preso. C'è un modo per conquistare i loro cuori:-- è semplicemente accumulare ciò che a loro piace, e non dargli ciò che non vogliono.

L'accento posto sulla bontà del sovrano non induca a pensare che Mencio non sottoscriva la validità dei 5 rapporti, semplicemente ne rafforza l'impianto. La disuguaglianza tra individui, istituzionalizzata dalla visione confuciana, si connota qui attraverso l' elemento della morale. Infatti il sovrano occupa il trono in virtù della sua benevolenza. Nel grado più basso troveremo dunque uomini egoisti. Agli individui non spetta dunque la stessa dignità morale, semmai a ciascun gradino della scala sociale corrisponde un diverso livello di dignità. I mercanti infatti (proprio perchè considerati egoisti) risiedevano al fondo della scala sociale. Tale disuguaglianza si scontra con la supposta parì dignità di tutti gli uomini, elemento cardine della teoria dei diritti umani.

Il buon governo rafforza il potere del sovrano e al contempo rafforza il carattere del popolo, giova all' economia del paese, e assicura i confini del regno. Si tratta di una visione del tutto pragmatica e realista. Identificare il popolo come la base dello Stato, infatti, non coincide con l'idea di democrazia, al contrario il popolo, visto come una risorsa per lo Stato, è più produttivo quado meno si abusa di lui:

Mencio rispose, ' Con un territorio di soli 100 li quadrati, è possibile lo stesso ottenere la piena sovranità. Se sua maestà darà veramente un buon governo al popolo, mantenendosi parsimonioso nel dispensare punizioni e multe, e imponendo tasse e contributi leggeri, facendo si che i campi siano arati a fondo, e che tutte le erbacce siano estirpate con cura, e che i forti contadini, durante i loro giorni liberi, coltivino la pietà filiale, rispetto fraterno, sincerità, e onestà, servendo così, a casa, i loro padri e fratelli maggiori, e, e fuori i più anziani e i superiori,-- avrai allora un popolo che può essere impiegato, con i bastoni che avranno fabbricato, per opporsi a alle robuste maglie e le affilate armi delle truppe di Qin e Chu'

Il buon governo, se praticato a dovere, tende altresì ad evitare che i cittadini reclamino delle garanzie rispetto al sovrano. Instaurando una corrispondenza di interessi con il suo popolo il sovrano fa si che il popolo sia soddisfatto e non senta il bisogno di essere tutelato rispetto al potere che lo sovrasta.

A questo punto siamo in grado di tratteggiare tre elementi nella dottrina menciana che avranno un influenza decisiva nel definire il modo di intendere i diritti umani in Cina.

- Un approccio pragmatico all' esercizio del potere
- L'enfasi posta sui bisogni primari del popolo
- La disuguaglianza morale tra gli individui

1.3 Lo Stato socialista e i diritti umani

Facciamo ora un salto di 2000 anni e vediamo come la cultura giuridica cinese, così permeata dalle teorie appena illustrate, abbia di fatto recepito un concetto apparentemene avulso come quello dei diritti umani. Il nostro salto ci riporta alla costituzione della Repubblica Popolare Cinese (RPC), tralasciando gli ultimi anni della dinastia Qing e gli anni della Repubblica, per evitare di dilungarsi in una minuziosa ricostruzione delle varie vicende e controversie legate al tema.

Riassiumiamo i motivi che non facilitano questo processo di ricezione. Abbiamo discusso della naturale avversione per la cultura amministrativa cinese del concetto di "diritto". Dobbiamo sottolineare che la Cina è ancora sulla strada dell'affermazione di un completo stato di diritto, nonostante i passi da gigante fatti negli ultimi decenni, soprattutto a partire dagli anni '80, quando ci si è gradualmente allontanati dallo stato di anomia della rivoluzione culturale. In Cina manca a tuttoggi un codice civile vero e proprio, al quale si sta lavorando da anni, i diritti umani, sebbene riconosciuti e protetti dalla costituzione, non trovano così applicazione concreta.

Abbiamo poi visto come l'etica di Stato dell'epoca imperiale, che gli studiosi d'occidente designano con il termine "confucianesimo", rappresenti una superficie particolarmente scivolosa per l'attecchimento della teoria dei diritti umani così come è intesa, ad esempio nei paesi dell' Unione Europea. L'enfasi posta sui doveri, la circoscrizione all'ambito di gruppo degli interessi privati, la forte gerarchizzazione sociale, per non parlare della connotazione fortemente pragmatica del amministrazione, che vedrebbe nei diritti umani un limite inaccettabile al potere dello Stato.

Nonostante queste caratteristiche la teoria dei "diritti umani" ha suscitato, e continua a farlo, grande interesse e discussioni. In particolare, gli studiosi ritenevano che la forza degli usurpatori occidentali provenisse proprio dai diritti umani, e vi era chi pensava che per liberare la Cina dall' occupazione straniera fosse necessario fornire al popolo la titolarità di tali diritti. In altre parole, i diritti umani o comunque i diritti soggettivi non venivano percepiti come una finalità che lo Stato dovesse realizzare, piuttosto come un mezzo che lo Stato avrebbe dovuto attribuire al popolo per rafforzarsi e meglio lottare contro gli invasori. Questa interpretazione strumentale della teoria dei diritti umani sopravvive nello Stato socialista. I diritti sono una concessione che lo Stato fa al Popolo affinchè esso possa realizzare quelle finalità che lo Stato stesso gli assegna. In questo consiste il pragmatismo nella ricezione della teoria dei diritti umani in Cina. Chi critica la Cina per le carenze nell'attuazione della teoria dei diritti umani deve perciò seriamente considerare che questo processo non può essere che graduale, in quanto va di pari passo con la maturazione della società, dell'economia e dello Stato.

L'enfasi posta sul diritto di sussistenza rientra sempre nella visione pragmatica della teoria dei diritti umani. Infatti non è molto sensato attuare una piena libertà di espressione, se ci sono persone che stentano a soddisfare i propri bisogni primari. Oltretutto la pratica ha dimostrato, che qualora questi diritti considerati secondari sono stati concessi, le ripercussioni sulla stabilità della società sono state drammatiche. La rivoluzione culturale ne è un esempio lampante. La libertà di espressione e di sciopero hanno innescato disordini tali da ripercuotersi pesantemente sul funzionamento dell'economia e in particolar modo sulla produzione agricola, causando la morte di milioni di persone a causa degli stenti. Senza contare le vittime cadute sotto la furia incontrollata delle guardie rosse.

Il terzo punto che influenza la teoria cinese dei diritti umani è la disuguaglianza morale degli individui. Nella rivoluzione marxista tale principio è concretato nel rovesciamento delle antiche gerarchie, ponendo il proletariato al vertice della scala sociale e attibuendogli i diritti sanciti dalla costituzione, e al contempo deprivando la classe dei proprietari dei loro diritti soggettivi. Coloro i quali non erano inclusi nella classe proletariata erano spogliati infatti della loro stessa dignità. Come tale aspetto della cultura cinese è trasmesso fino ai giorni nostri, non è affatto chiaro, in quanto essendo conclusa ogni forma rivoluzionaria, ed essendosi instaurato ormai uno stato di diritto, teoricamente si dovrebbe essere realizzata una piena equiparazione nella soggettività di tutti i singoli cittadini cinesi. Tuttavia si deve realisticamente considerare come un dato culturale dalle origini così antiche non può essere eradicato semplicemente attraverso la pratica del diritto, che oltretutto in Cina è da considerarsi un fenomeno di giovane età. A cio si aggiungano i privilegi non solo economici di cui godono i quadri di partito, così come l'avvento di una giovane classe capitalista, comunque nata in seno al Partito, oltre alla percezione che si ha degli stranieri come di persone dotate di privilegi superiori. Questi ed altri fattori certamente non aiutano i cittadini a conseguire una piena consapevolezza di quale sia l'estensione esatta della propria soggettività, definita dai termini della costituzione in una dimensione sufficienteme ampia. Solo quando i singoli cittadini raggiungeranno tale consapevolezza si potranno dire attuati i dettati costituzionali che sanciscono la sovranità assoluta del Popolo. Solo allora, infine, la piena attuazione dei diritti umani sarà realizzata e la Cina sarà uno Stato talmente forte e dalla indiscutibile influenza che in molti rimpiangeranno di aver insistito tanto sull'argomento.